E me ne sto qua, ad aspettare che la voglia di fare latino mi salti addosso. Con una mela rossa in mano e il suo succo dolce tra le labbra e loro due che giocano a carte.
Voleva la rivincita, il piccolino. E' testardo, il piccolino. E vuole sapere tutto di tutti ed è curioso, curioso come me.
Quanto è vero che i bambini sono sinceri. Che non hanno peli sulla lingua.
"Giochi con me?"
Me l'ha chiesto prima, e io ho giocato con lui.
Ha sempre voglia di giocare, il piccolino. E salta per tutta la casa come una molla.
Dice cose assurde, fa domande imbarazzanti. Certe volte non lo sopporto.
Però il piccolino è sempre il piccolino, è sempre un tenero, dolce cuore.
Me lo tengo stretto, il piccolino, perchè Dio solo sa quanto gli voglio bene. A tutti e due.
Sì, a tutti e due, anche a quello che piccolino non è più.
Perchè sono i miei fratelli, e solo miei.
Guai a chi lo tocca.
E ora voglio fare una cosa.
Prendo la raccolta di poesie di Emily Dickinson, in inglese.
Lo apro a caso e vi leggo quello che c'è scritto.
Anzi, più che leggere, che non posso farlo da lontano, non riuscireste a sentirmi, ve lo metto qua, tutto bellino, ma voi immaginatevi la mia voce.
Come dite, non conoscete il suono della mia voce?
Beh, allora immaginatevela;
Experience.
I stepped from plank to plank
So slow and cautiously;
The stars about my head I felt,
About my feet the sea.
I knew not but the next
Would be my final inch,
This gave me that precarious gait
Some call experience.
[Pagina 41; Selected Poems,
Emily Dickinson.]
Quanto mi piace.
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