Anche queste ultime 3 settimane sono andate. Volate, proprio.
Ci siamo divertiti da matti, in Marocco, come ogni anno. L'atmosfera è diversa, lì; soprattutto per le persone. La mia enorme famiglia araba è la miglior famiglia mi potesse capitare: ci ritroviamo tutti (o quasi) tutti gli anni, nella stessa casa; siamo così tanti che anche una casa grande non ci basta, e quindi dormiamo sui divani tradizionali, o stendiamo strati di coperte a terra e ci mettiamo lì, uno vicino all'altro, grandi e piccini.
A casa, in Marocco, c'è sempre casino. I cugini piccoli saltano di qua e di là, strillano, piangono, ridono, corrono in tutte le stanze; gli zii e le zie parlano a voce alta. C'è sempre vita, sempre.
Quando andiamo al mare, in Marocco, nuotiamo nell'Oceano gelido pieno di onde, usciamo la sera a camminare in paese, dormiamo sul terrazzo con le stelle che ci guardano, passiamo le giornate in spiaggia. La notte balliamo, balliamo, sul ritmo di musiche arabe o internazionali, non importa: siamo insieme e ci divertiamo.
Io e i miei cugini e i miei fratelli ce la spassiamo alla grande. Inventiamo canzoni e le urliamo a squarciagola, cantiamo senza sapere il senso delle parole. Mio cugino è un asso a tenere il ritmo, e batte il tempo coi piedi o con le mani, e noi ci scateniamo. Facciamo la lotta, anche se siamo grandi. Guardiamo film fino alle 2 e mezza di notte, e ci addormentiamo vicini. Ci prendiamo in giro e ci spingiamo in acqua; ci lanciamo la sabbia e giochiamo a pallavolo o a calcio quando il sole tramonta. Io e le mie cugine parliamo, parliamo di amore e sesso e famiglia, parliamo del futuro, di com'è la vita in Europa e in Italia e di come è diverso il caldo Marocco. Siamo molto affiatati, noi cugini, e ci parliamo in francese e inglese e arabo, ed è tutto un mix.
Coi ragazzi ho parlato per la prima volta di amori e cotte, ed eravamo sotto l'ombrellone, faceva caldo e io avevo un capello da cowboy; ci raccontavamo i fallimenti le delusioni i tentativi di farsi piacere, le volte che era andata bene le volte che invece no.
Le mie zie sono delle pazze, e io le adoro. Sono massicce e appassionate, con le esagerate curve di famiglia (che io non ho), e sono spiritose e gentili e sempre allegre. Quando sono stata male e mi è venuta la febbre e la testa mi faceva male da morire loro e le mie cugine si davano il cambio per stare con me e bagnarmi la fronte con asciugamani freddi per abbassare la temperatura.
Quando siamo tornati in città, siamo andati a casa dei nonni. Era così cambiata, e, senza di loro, non era più la stessa cosa. Erano due anni che non ci andavo. Qualche lacrima mi è corsa giù per le guance prima che riuscissi a fermarla.
La zia sta facendo dei lavori, e ha rivoluzionato molto di ciò che era. Loro non ci sono più; loro erano i proprietari, e il cuore pulsante della famiglia.
L'ultimo giorno siamo andati tutti al cimitero, a salutarli. Le loro tombe sono una affianco all'altra, e, secondo me, i nonni riescono persino a tenersi la mano, là sotto. Lo zio cantava i versi del Corano con voce profonda, e io guardavo in silenzio e pensavo tanto. Pensavo a loro, senza piangere, perché i nonni avrebbero voluto vederci felici come lo siamo sempre stati.
Ad ottobre saranno due anni che il nonno se n'è andato, e due mesi fa è passato un anno da quando la nonna lo ha seguito.
Il Marocco è la mia seconda casa, e lo è per davvero - non come quando, alle medie, una tizia che era in classe con me diceva che la Spagna era la sua seconda casa dopo esserci stata una volta sola (io e L. le facevamo il verso) - e, ogni volta che ci torno, mi aspetta un Bentornata, mai un Benvenuta.
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